In questo blog voglio raccontare e trasmettere le storie di questi uomini diventati soldati e che oggi a cent’anni di distanza non vengano dimenticati.
Sono storie nella storia di quella che fu la Grande Guerra.
Questi caduti sono morti sul carso, in quei due anni e mezzo di sanguinose battaglie, molti di questi oggi riposano al sacrario di Redipuglia con un nome, ma per la maggior parte questo non è stato possibile. Voglio così onorare la loro memoria con questo mio tributo.

"Vorranno dimenticarvi, vorranno che io dimentichi, ma non posso e non lo farò. Questa è la mia promessa a voi a tutti voi."

Vera Brittain



«Qui ci verranno dopo la guerra a fare la gita di ferragosto. E diranno: se c’ero io! Ci saranno i cartelli-rèclame e gli alberghi di lusso! Passeggiate di curiosità come ai musei di storia naturale; e raccatteranno le nostre ossa come portafortuna.»

Carlo Salsa

sabato 27 dicembre 2014

S.Tenente SGARITO Giuseppe





47° Fanteria Brigata Ferrara

Nato a Favara (AG) il 18 Febbraio 1887
Morto a 22^ Sez. Sanita' il 4 Ottobre 1916
Sepolto al Sacrario di Redipuglia



Tratto dal Libro di Mario Puccini "Davanti a Trieste":

La brigata Ferrara il giorno 4 Ottobre era in linea tra Opacchiasella e Loquizza apparteneva con la Brigata Brescia alla 21^ Divisione, zona quota 194.

Cinque giorni di Vallone ci hanno ridato energia e buon umore. Abbiamo mangiato di nuovo i maccheroni caldi e fatto saltare qualche tappo. Riacquistiamo tutti la parlantina della tavola, per incanto. Anche i taciturni come Sgaritto, lasciano filtrare, tra i denti, qualche frizzo e sorriso. Sgaritto ha fatto anche di più: ha cantato. Una vocina di grillo con un sentimento d siciliano. Gli occhietti piccoli gli scintillavano, come se, cantando egli votasse negli occhi i suoi ricordi, i suoi amori, tutta la sua giovinezza.
Ora non è più. Una bombarda nemica lo ha ucciso.
Egli era con il suo plotone, nella dolina che si addossa alla linea. I suoi soldati, affamati e stanchi, aspettavano il rancio, brontolando. Egli li teneva fermi attorno a se con la parola e con lo sguardo.
Era buono e leale. I suoi fanti credevano in lui, perchè non era capace di quella bugie o di quelle frasi, che taluno si lascia spesso scappare per tenere calmi gli animi.
Egli non diceva: - Domani andremo a riposo. Siamo dunque per oggi, forti e pazienti.
Diceva la verità e tremava con i suoi uomini. Ma non di paura.
Quand'eravao a tavola, sul Cappuccio (Bosco Cappuccio), egli ricordava così l'ultimo combattimento sul San Michele (e gli occhi gli lucevano, come per la febbre):
- La più grande, la più dolce e insieme la più terribile ora della mia vita fu quella che vissi, quando conquistammo la trincea Vicinanza. Con le mani, con le rivoltelle, con i fucili si sfondava il tetto della trincea avversaria. Gli austriaci sentendoci così sopra, non sparavano più Qualcun sotto quella pioggia di bombe a mano urlava: - Bono Italiano!
- E noi si rideva, si piangeva, si gridava, Eravamo tutti come dei pazzi.
Ora anche Sgaritto è morto.
Il rancio era appena arrivato. Fumavano le marmitte tra le croci della buca. Le gavette dei fanti rilucevano. I primo raggi della stanca aurora non potevano riscaldare i corpi oppressi: ma il rancio - oh sì! - avrebbe riscaldato.
Quell'affollamento intorno alle marmitte non piacque però al capitano Grossi. Il quale disse a Sgaritto: - Disciplini codesta distribuzione.
E Sgaritto, con le parole e con le braccia era in mezzo ai fanti.
- Uno alla volta ragazzi. C'è da mangiare per tutti.
Aveva appena pronunciato queste parole, quando una bombarda (nostra o Austriaca?) precipitò in quel folto.
Uno schianto terribile: e subito, urla, gridi, gente che fugge all'impazzata.
Tra le croci divelte e le marmitte rovesciate, una trentina di corpi giacciono: dilaniati.
Alcuni, feriti, tentano di rialzarsi, ma ricadono, urlando di dolore: altri sollevano la testa e traggono l'ultimo respiro. La terra tutt'intorno è rossa. Il sangue scorre tra le gavette e pasta rovesciata, confondendo il suo vapore con quello della vivanda.
Sgaritto giace a bocconi. Una gamba gli è stata staccata di netto. Egli allunga la mano verso la gamba tronca e, con un soffio: - La mia gamba, la mia gamba! Mormora.-.
Lo misero subito in barella. Ma non parlava più.
Potrò io mai dimenticare la sua persona adagiata nella barella, le mani in croce sul petto? Lo chiamai, ma egli non mi riconobbe.
E nessuno poté ridargli quella vita ch'egli, dopo la morte del fratello in guerra, aveva consacrata a sua madre. Ho ancora, negli occhi, l'impressione di quel corpo che, affondato nella barella, pareva di un peso immane. Era ormai l'abbandono dell'agonia. Ho quasi il rimorso di non aver mai fatto nulla per lui: di non avergli dato un mio libro, un ricordo, un fiore. Io l'ho appena salutato morente.

mappa con indicata la posizione occupata dalla Brigata Ferrara nei primi gioni di ottobre fino alla VIII Battaglia dell'Isonzo:




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