764^ Compagnia Mitraglieri FIAT
Nato a Perugia il 13 Marzo 1882
Morto a q. 219 di Pod Korite il 23 maggio 1917
Sepolto al Sacrario di Redipuglia loculo 38948 gradone 22
Note Storiche:
La 764^ Compagnia Mitraglieir FIAT dopo essere stata formata nel maggio 1917 fu messa a disposizione della Brigata Bologna, con la quale prese parte alla X^ battaglia dell'Isonzo con la 31^ Divisione 13° C.A.
Tratto dal libro "La Brigata Bologna" di Carlo Felice Prencipe
La battaglia del 23 maggio 1917:
Le operazioni sulla fronte Giulia avevano già avuto inizio il 12 maggio con potentissimi duelli di artiglieria: il 14, le fanterie, avanzate da Plava, erano riuscite a conquistare importanti linee difensive nemiche a est della testa di ponte e sulle alture a oriente di Gorizia. Dal 15 al 22, dopo 7 giorni di aspri combattimenti, il II e il IV Corpo di Armata erano riusciti, in una serie di brillanti ma cruenti azioni, a occupare i due fortissimi baluardi mon-tani, del Kuk e del Vodice, aggrappandosi alle pendici occi-dentali del Monte Santo.
I1 23 maggio doveva cominciare la terza fase del progettato piano offensivo, alla quale era destinata a concorrere la 31a Divisione a cui apparteneva il 40° Fanteria, cioè l'attacco a fondo sul Carso. Il reggimento stava in trincea, come si è detto, fin dal 5 maggio: malgrado però il lungo periodo passato in linea prima dell'azione e sotto il continuo e insistente bombardamento nemico, il morale dei bravi fanti era alto, e vivo era in tutti il desiderio di uscire dalla trincea e balzare all'attacco. Alle ore 6 del mattino, ebbe principio il tiro di tutte le nostre batterie contro le posizioni e le opere difensive dell'avversario e ad esse si unirono numerose bombarde di medio e grosso calibro diretto essenzialmente contro i reticolati nemici per abbatterli e squarciarvi l'intrigato tessuto di fili spinosi.
I1 23 maggio doveva cominciare la terza fase del progettato piano offensivo, alla quale era destinata a concorrere la 31a Divisione a cui apparteneva il 40° Fanteria, cioè l'attacco a fondo sul Carso. Il reggimento stava in trincea, come si è detto, fin dal 5 maggio: malgrado però il lungo periodo passato in linea prima dell'azione e sotto il continuo e insistente bombardamento nemico, il morale dei bravi fanti era alto, e vivo era in tutti il desiderio di uscire dalla trincea e balzare all'attacco. Alle ore 6 del mattino, ebbe principio il tiro di tutte le nostre batterie contro le posizioni e le opere difensive dell'avversario e ad esse si unirono numerose bombarde di medio e grosso calibro diretto essenzialmente contro i reticolati nemici per abbatterli e squarciarvi l'intrigato tessuto di fili spinosi.
Gli austriaci dopo un pò di silenzio, aprirono il fuoco contro le nostre linee e , d' un tratto, lo portarono alla massima celerità con i loro cannoni e le bombarde sistematicamente battevano le nostre trincee, i camminamenti, le doline e questo avvalorò la tesi che il nemico nei giorni scorsi, con pochi e sporadici colpi, si era studiato di aggiustare il suo tiro sull'intero nostro sistema difensivo, specie sulla prima linea. Questa, scavata nella roccia e munita di un parapetto per la maggiore parte costituito con pietre sovrapposte, fu in poco tempo quasi tutta rasa al suolo lasciandone allo scoperto i difensori: maciullati dalla furia atroce di quell'uragano di morte i fanti del 40° Fanteria tennero fermo nel nome della Patria! In breve la prima linea non più esistette: non fu altro che un cumulo di sassi, confusamente ammucchiati e chiazzati di sangue. Anche la seconda e la terza linea avevano subito in più punti l'opera devastatrice di quella tempesta di fuoco, di piombo e di ferro: le doline, i camminamenti, i ricoveri portavano tutti i segni macabri della devastazione e bruciavano in un rogo immane. Silenziosi e sereni, i fanti guardavano impavidi quella scena di orrore rassegnati all'estremo dovere: tutto attorno un fragore simultaneo di mille colpi, un'accendersi di mille fiammelle, un rotear di schegge, un turbinio di granate, di shrapnels, di bombe. L'atmosfera era irrespirabile: non un metro di terreno non era colpito, non un palmo di trincea offriva riparo; non un ricovero offriva protezione. E al sacrificio della passiva attesa, all'incubo di dover dare la vita senza poterla contendere al nemico, alla preoccupazione di poter non vivere gli epici momenti dell'assalto e della lotta, a quel tormento senza nome, essi avrebbero preferito tutti di uscire subito dalle sconvolte trincee e correre, con la baionetta in canna, contro il nemico. Ma nell'ordine di operazione era fissata l'ora per lo scatto delle truppe e questa ora doveva essere assolutamente rispettata. Il fuoco delle nostre artiglierie, senza un attimo di sosta, durò fino alle ore 2,00: a tale ora esse allungarono un po' il tiro per permettere ad alcune ardite pattuglie di uscire dalla li-nea per andare a constatare gli effetti del tiro sulle difese dell'avversario. Le pattuglie, avanzando con baldo coraggio, rilevarono che sul tratto di posizione fronteggiata dal reggimento la prima linea nemica aveva subito danni rilevanti e che le difese accessorie presentavano parecchi varchi di discreta larghezza. Con rinnovata lena i nostri artiglieri ricominciavano allora la canora musica dei loro pezzi e la continuarono fino al momento indicato nell'ordine superiore: ore 16,05. A tale ora, identica per tutte le unità ingaggiate nell'offensiva, le truppe scattarono dalla loro trincea di partenza e con irresistibile balzo mossero in campo aperto contro il nemico.
A sinistra il I Battaglione, comandato sempre dal ten. colonnello Antonino Palumbo, oltrepassò con balzo fulmineo la linea di osservazione nemica e in pochi minuti, arditamente avanzando. in una zona battuta con estrema violenza dal tiro d'interdizione delle artiglierie austriache, raggiunse il groviglio di q. 219 e le attigue trincee a est di esso, sfondandole e sorpassandole nonostante il furioso fuoco di fucileria e mitragliatrici dell'avversario. Giunti a 100 metri dalla strada Kostanjevica-Selo i valorosi e decimati repati dell'eroico battaglione, che in detto combattimento avevano anche perduto il loro comandante, perché gravemente ferito, non riscontrando ancora nessuno indizio di avanzata dal 73° Fanteria (Brigata Lombardia), con cui dovevano essere collegati, dovettero arrestarsi per evitare di essere aggirati sul fianco sinistro. Il comando del battaglione fu preso immediatamente dal cap. Moggio Teodoro. Più ore gli avanzi del battaglione resistettero sulla linea raggiunta, bersagliati da ogni lato e scoperti a tutte le offese: essendosi però delineato, sul far della sera, un minaccioso tentativo di aggiramento sull'indifeso fianco sinistro e a tergo, dovettero alquanto ripiegare. Il II Battaglione al centro scattato dalle trincee di partenza, fulmineamente si portò nel cuore della resistenza nemica, oltrepassando un primo e un secondo ordine di unitissimi e potentissimi trinceramenti austriaci e ingaggiando, tra un inferno di fuoco di tutte le armi e di tutti i calibri, violenti combattimenti corpo a corpo. La lotta fu terribile e il battaglione, guidato dal sottoscritto, ebbe gran parte dei suoi effettivi fuo-ri combattimento. Io stesso, contuso gravemente da un fondello di granata sul fianco destro, caddi a terra per più di un'ora svenuto sul campo ma, ripreso i sensi, continuai a tenere il comando della linea resistendo ai contrattacchi del nemico. Pur tuttavia le poche truppe rimaste resistettero accanitamente fino a sera inoltrata, chiedendo ansiosamente rinforzi e attendendoli con la santa rassegnazione dei martiri.
II IV Battaglione — di destra — raggiunse e oltrepassò in brevissimo tempo la prima linea dell'avversario, muovendo quindi, in collegamento col II Battaglione, all'attacco delle retrostanti e robuste posizioni nemiche. Durante questo sbalzo, a causa del micidiale fuoco incrociato di moltissime mitragliatrici, appostate sul fianco e sul fronte, il battaglione subì perdite gravissime: cadde pure gravemente ferito il comandante del battaglione, magg. Salomone Felice, il cui sublime valore si dimostrò pari alla eccessiva modestia di cui era animato quel vero soldato di guerra.
I pochi reparti, ancora in efficienza, raggiunsero la linea di massima resistenza del nemico: circa cinquanta uomini arrivarono financo sulla strada di Kostanjevica e si appostarono presso il bivio che detta strada forma con quella di Korite. Nessun indizio si poté constatare della avanzata delle truppe della 34a Divisione, operanti a destra: andava invece delineandosi sempre più la grave minaccia di venire aggirati, sul lato opposto, da foltissimi nuclei nemici che, nel frattempo, scendevano dall'altura di q. 232. La situazione in cui, verso le ore 21 della sanguinosa giornata, venivano a trovarsi i tre battaglioni appariva critica e insostenibile. Il concorso delle truppe laterali era venuto a mancare; le numerose assillanti richieste di rinforzo non avevano avuto alcun esito: il II Battaglione del 39° Fanteria inviato in rincalzo del II e IV Battaglione/40° Fanteria, e duramente provato durante l'a-vanzata, era arrivato a destinazione solamente con pochi drappelli insufficienti e stanchi; la 745° Compagnia Mitragliatrici, avviata all'ultimo momento era stata subito messa fuori combattimento dai tiri dell'artiglieria nemica. Le batterie austriache, intanto, sull'intera zona, scatenavano i loro fulmini mortali; raffiche tempestose di mitragliatrici, di cannoncini, di fucili e di bombarde solcavano, con grande strepito e terrore, la terra e il cielo, devastando, infrangendo, uccidendo; sui fianchi scoperti degli animosi superstiti falciava indisturbata la morte. Il resistere sembrava una follia inconcepibile, un atto di inutile sacrificio, un olocausto non richiesto; si imponeva la necessità di ripiegare per poter così salvare almeno i piccoli nuclei dei sopravvissuti, abbarbicati al terreno disperatamente, isolati e senza via di scampo. Alle ore 22 circa, allorché la sera col mistero e con l'agguato delle sue tenebre aveva già steso un velo impenetrabile sugli uomini e sulle cose e il rosseggiante campo di battaglia s'era chiuso nel suo terrore e nel sacro deposito dei caduti, fu emanato l'ordine ai gloriosi superstiti di ritirarsi sul-le trincee di partenza, a scaglioni e nel massimo silenzio. Non poteva essere diversamente.
A gruppi, esausti e affamati, essi ripiegarono, trasportando indietro più feriti che fu possibile, e a notte fatta, si riunirono, contandosi, sulle linee che avevano lasciate poche ore prima, con la certezza di non mettervi più piede. Si fece l'appello dei presenti tra un silenzio di tomba: le voci commosse dei compagni, che avevano visto o saputo, fornivano, di mano in mano che si chiamava un nome, la do-lorosa notizia dell'assente. Il calvario era oltremodo penoso: 1385 furono le dolorose perdite subite dal reggimento nella magnifica, per quanto infruttuosa azione; di cui ben 314 morti, 861 feriti, 210 di-spersi. Il numero delle perdite, nella terrificante eloquenza delle sue cifre sta a testimoniare, senza ulteriori e opportuni commenti, il valore e la tenacia dimostrati in combattimento dalle balde ed eroiche truppe del 40° Fanteria. Così si chiude tristemente la giornata del 23 maggio 1917.
A sinistra il I Battaglione, comandato sempre dal ten. colonnello Antonino Palumbo, oltrepassò con balzo fulmineo la linea di osservazione nemica e in pochi minuti, arditamente avanzando. in una zona battuta con estrema violenza dal tiro d'interdizione delle artiglierie austriache, raggiunse il groviglio di q. 219 e le attigue trincee a est di esso, sfondandole e sorpassandole nonostante il furioso fuoco di fucileria e mitragliatrici dell'avversario. Giunti a 100 metri dalla strada Kostanjevica-Selo i valorosi e decimati repati dell'eroico battaglione, che in detto combattimento avevano anche perduto il loro comandante, perché gravemente ferito, non riscontrando ancora nessuno indizio di avanzata dal 73° Fanteria (Brigata Lombardia), con cui dovevano essere collegati, dovettero arrestarsi per evitare di essere aggirati sul fianco sinistro. Il comando del battaglione fu preso immediatamente dal cap. Moggio Teodoro. Più ore gli avanzi del battaglione resistettero sulla linea raggiunta, bersagliati da ogni lato e scoperti a tutte le offese: essendosi però delineato, sul far della sera, un minaccioso tentativo di aggiramento sull'indifeso fianco sinistro e a tergo, dovettero alquanto ripiegare. Il II Battaglione al centro scattato dalle trincee di partenza, fulmineamente si portò nel cuore della resistenza nemica, oltrepassando un primo e un secondo ordine di unitissimi e potentissimi trinceramenti austriaci e ingaggiando, tra un inferno di fuoco di tutte le armi e di tutti i calibri, violenti combattimenti corpo a corpo. La lotta fu terribile e il battaglione, guidato dal sottoscritto, ebbe gran parte dei suoi effettivi fuo-ri combattimento. Io stesso, contuso gravemente da un fondello di granata sul fianco destro, caddi a terra per più di un'ora svenuto sul campo ma, ripreso i sensi, continuai a tenere il comando della linea resistendo ai contrattacchi del nemico. Pur tuttavia le poche truppe rimaste resistettero accanitamente fino a sera inoltrata, chiedendo ansiosamente rinforzi e attendendoli con la santa rassegnazione dei martiri.
II IV Battaglione — di destra — raggiunse e oltrepassò in brevissimo tempo la prima linea dell'avversario, muovendo quindi, in collegamento col II Battaglione, all'attacco delle retrostanti e robuste posizioni nemiche. Durante questo sbalzo, a causa del micidiale fuoco incrociato di moltissime mitragliatrici, appostate sul fianco e sul fronte, il battaglione subì perdite gravissime: cadde pure gravemente ferito il comandante del battaglione, magg. Salomone Felice, il cui sublime valore si dimostrò pari alla eccessiva modestia di cui era animato quel vero soldato di guerra.
I pochi reparti, ancora in efficienza, raggiunsero la linea di massima resistenza del nemico: circa cinquanta uomini arrivarono financo sulla strada di Kostanjevica e si appostarono presso il bivio che detta strada forma con quella di Korite. Nessun indizio si poté constatare della avanzata delle truppe della 34a Divisione, operanti a destra: andava invece delineandosi sempre più la grave minaccia di venire aggirati, sul lato opposto, da foltissimi nuclei nemici che, nel frattempo, scendevano dall'altura di q. 232. La situazione in cui, verso le ore 21 della sanguinosa giornata, venivano a trovarsi i tre battaglioni appariva critica e insostenibile. Il concorso delle truppe laterali era venuto a mancare; le numerose assillanti richieste di rinforzo non avevano avuto alcun esito: il II Battaglione del 39° Fanteria inviato in rincalzo del II e IV Battaglione/40° Fanteria, e duramente provato durante l'a-vanzata, era arrivato a destinazione solamente con pochi drappelli insufficienti e stanchi; la 745° Compagnia Mitragliatrici, avviata all'ultimo momento era stata subito messa fuori combattimento dai tiri dell'artiglieria nemica. Le batterie austriache, intanto, sull'intera zona, scatenavano i loro fulmini mortali; raffiche tempestose di mitragliatrici, di cannoncini, di fucili e di bombarde solcavano, con grande strepito e terrore, la terra e il cielo, devastando, infrangendo, uccidendo; sui fianchi scoperti degli animosi superstiti falciava indisturbata la morte. Il resistere sembrava una follia inconcepibile, un atto di inutile sacrificio, un olocausto non richiesto; si imponeva la necessità di ripiegare per poter così salvare almeno i piccoli nuclei dei sopravvissuti, abbarbicati al terreno disperatamente, isolati e senza via di scampo. Alle ore 22 circa, allorché la sera col mistero e con l'agguato delle sue tenebre aveva già steso un velo impenetrabile sugli uomini e sulle cose e il rosseggiante campo di battaglia s'era chiuso nel suo terrore e nel sacro deposito dei caduti, fu emanato l'ordine ai gloriosi superstiti di ritirarsi sul-le trincee di partenza, a scaglioni e nel massimo silenzio. Non poteva essere diversamente.
A gruppi, esausti e affamati, essi ripiegarono, trasportando indietro più feriti che fu possibile, e a notte fatta, si riunirono, contandosi, sulle linee che avevano lasciate poche ore prima, con la certezza di non mettervi più piede. Si fece l'appello dei presenti tra un silenzio di tomba: le voci commosse dei compagni, che avevano visto o saputo, fornivano, di mano in mano che si chiamava un nome, la do-lorosa notizia dell'assente. Il calvario era oltremodo penoso: 1385 furono le dolorose perdite subite dal reggimento nella magnifica, per quanto infruttuosa azione; di cui ben 314 morti, 861 feriti, 210 di-spersi. Il numero delle perdite, nella terrificante eloquenza delle sue cifre sta a testimoniare, senza ulteriori e opportuni commenti, il valore e la tenacia dimostrati in combattimento dalle balde ed eroiche truppe del 40° Fanteria. Così si chiude tristemente la giornata del 23 maggio 1917.
Il Sottotenente XIMENES il giorno 23 maggio 1917, risulterà disperso, il suo corpo verrà poi ritrovato il 30 di giugno dello stesso anno nella località di Pod Korite, venne poi sepolto a Dolina
Udinese.
Della stessa compagnia mitragliatrici apparteneva anche il Tenente STEFANI Achille vedi scheda Quì
Mappa con la dislocazione della Brigata Bologna alla vigilia della X^ battaglia dell'Isonzo:
Mappa con indicata la posizione della Dolina Udine dove fu sepolto il Sottotenente XIMENES dopo il suo ritrovamento: